Tra quindici giorni in Sardegna si voterà per eleggere diversi sindaci e consigli comunali.
Un rito a cui partecipano sempre meno persone, a dar retta alle cifre sull’affluenza elle urne, ma che in ogni caso avrà delle conseguenze spesso pesanti per i residenti.
Chi, come il sottoscritto, per lavoro e per passione (tranquilli, ora ho smesso) ha spesso seguito o addirittura partecipato a queste fiere dell’orrido chiamate campagne elettorali, sa benissimo che il rito ha le sue liturgie, che si ripetono sempre uguali nel tempo.
Decine, centinaia di candidati consiglieri andranno a caccia di preferenze, auspicando – quando va bene – interventi per risolvere questo o quel problema, o promettendo – quando va male – favori in cambio del sostegno e del voto.
Favori che – e qui sta la cosa più grave in assoluto – verranno pagati con i soldi chiamati “pubblici”. Ovvero, coi soldi degli individui che se li sono sudati lavorando, producendo, vendendo, creando, e che se li vedono sottratti, sotto minaccia, dalla macchina statale.
In questo caso i favori fatti ai propri sostenitori non si distinguono granchè dagli interventi che i candidati auspicano con tanta forza durante le campagne elettorali: entrambi sono pagati coi soldi pubblici – frutto dell’estorsione statale, come abbiamo visto – ed entrambi contribuiscono ad alimentare l’illusione che sia possibile vivere grazie all’intervento della politica. Ovvero, dello Stato.
Vi chiedo di guardare con attenzione a cosa accade durante queste giostre dell’ovvio che chiamiamo campagne elettorali: non troverete nessuno che vi dirà la verità. Non troverete nessuno che proporrà semplicemente di eliminare la fonte dei nostri problemi. Nessuno che auspicherà che lo Stato si faccia da parte, lasciandovi liberi di vivere la vostra vita come meglio credete. No. Tutti, ma proprio tutti i candidati saranno pronti a chiedere più interventi statali, più spesa per questo o per quel settore, più regole per questo o quel problema, più controlli, più leggi, più divieti, più obblighi.
La realtà è che la politica, per sua natura, è statalista. Lo è perchè le regole del suo funzionamento lo prevedono. Lo è perchè chiunque voglia fare carriera politica deve comprare il consenso, e il modo più semplice è farlo coi soldi pubblici.
Chiunque abbia provato a fare l’opposto è stato ricacciato fuori da quel mondo. E se ci pensate è naturale.
Per rendersene conto basta dare un’occhiata all’attuale offerta politica: abbiamo il centrosinistra più statalista del mondo occidentale, monopolizzato dalla più becera cultura antiliberale, comunista, sindacalista, pauperista e fintoambientalista; il cosiddetto centro che non è altro che l’accozzaglia dei furbetti, quelli che “meglio vedere cosa succede e poi buttarsi dove si vince”, lupi famelici del denaro pubblico; il centrodestra più inguardabile del mondo, autodefinitosi liberale, ma di fatto nato dal denaro sporco di un monopolista intrallazzato col potere e di conseguenza poco affine alle idee di vera libertà, di concorrenza, ma semmai piegato, fin da subito, ai voleri del moloch statale.
In più da qualche tempo c’è la cosiddetta “novità”: quella rappresentata dal Movimentocinquestelle. Un gruppo di finti ribelli, uniti dal disprezzo non verso la politica intesa come esercizio del potere, ma verso gli altri politici, giudicati disonesti e incapaci. Naturalmente loro, i pentastellati, sarebbero quelli onesti e capaci. Caliamo un velo pietoso. Ma rimarchiamo con forza le loro proposte, per renderci conto che si tratta della quintessenza dello statalismo più becero e sfrenato: sussidio garantito per tutti, acqua/energia/benivari pubblici (ovvero statali), nazionalizzazione dei principali settori dell’economia e proposte liberticide su quasi tutti gli argomenti dello scibile umano.
Cosa resta? Beh, rimangono i cosiddetti partitini, che rappresentano ideologie scomode – si pensi alla galassia comunista delle liste falcemartello o alla miriade di sigle di estrema destra con fiamme tricolori assortite – o personalità in declino (Fare, PLI, PRI, PSI e movimenti vari).
Inoltre, perlomeno in Sardegna, rimangono attive alcune forze indipendentiste. Ma nessuna di queste ha la più pallida idea di eliminare o ridurre ai minimi termini lo Stato. Al massimo, sostituire quello italiano con uno sardo.
A guardare le cose da osservatori neutrali, si fa fatica a distinguere le proposte dei contendenti.
A guardarle da osservatori liberi, tutto appare come una grande corazzata statalista. Forse perchè in realtà lo è.
La grande corazzata degli adoratori dello Stato.